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Giovanni Buzi: Il regno del Nero

1995

(estratto da "Nero Bianco")

 

 

Nero, nero, mi faccio trascinare dal nero, m'abbandono ai suoi abbracci vellutati, gelidi come gli abissi dell'oceano. E intorno tutto fluttua silenzioso in questo magma fluido. Avverto la presenza di materia raggrumata, molle, vischiosa che consuma il suo tepore perdendosi lontano.

Spazi vuoti e infiniti, regno del Nero. La materia si rarefà, si scioglie e alla viscosità seguono ventate di vuoti, raffiche d'assenze finché, aereo, galleggio in uno spazio senza orizzonte, senza stelle. Non più sensazioni di freddo né tepore, solo una tregua dei sensi, una parentesi. Il vento mi scivola sulla pelle ma resto insensibile, indovino la sua presenza da un fischio continuo, sordo, monotono. Poi s'affievolisce e scompare.

Il Nero m'ha sommerso, invaso, è entrato nelle vene, nelle fibre dei muscoli. Quando affogherà anche quest'ultima fiammella di coscienza...

Non avverto più l'essere trasportato, quel navigare che nella cecità era una sorta di consolazione. Quel fluttuare molle e invisibile che mi trascinava alla velocità della luce. La velocità, l'unica cosa che mi restava della luce!

E questa tortura continua, il sentirsi il niente, essere il niente e continuare a pensare, ad essere cosciente. Cosciente di che? Tutto intorno a me è sparito. Il Nero ha sciolto ogni molecola, l'ha inghiottita, l'ha fatta se stesso. Ha spento ogni colore, ogni bagliore, pure quei riflessi blu che per ultimi hanno resistito. Ha annullato ogni sensazione. Il ruvido, il levigato, il soffice, il tagliente, il caldo, il freddo, l'amore, l'odio. Non riesco più ad odiarlo come all'inizio quando ha sporcato la superficie della tela mischiandosi ai colori, togliendo splendore alle tinte. Non so amarlo, non l'ho mai saputo.

E i colori giocavano con esso. Si divertivano ad accostarcisi per far splendere la loro voce, ci scherzavano, ci giocavano a nascondino celando parte della loro energia per recuperarla, rinvigorita, un attimo dopo in tonalità limpide e squillanti. Il nero si lasciava fare finché, stanco, per malvagità o solamente per noia ha dato una zampata da bestia selvaggia e ha cancellato ogni palpito di vita. Con due pennellate grasse ha divorato tutto e quella giungla di fruscii, verdi, arancio, scrosci d'acqua e canti d'uccelli s'è trasformata, in un batter d'ali, in un rogo di carboni spenti. Ed io ha contemplare meravigliato, divertito, impotente.

Sì, all'inizio cancellare m'ha divertito. Una strana sensazione di libertà e potenza. Strangolare quei colori che se ne stavano placidi a riscaldarsi al sole, con le piume soffici e rosate, affogare quelle tonalità verdi-azzurre, dare colpi d'accetta a quei carnosi fiori
velenosi. E il nero li ingabbiava con un reticolato fitto, li trafiggeva di colpi aguzzi, di macchie d'orchidee nere. Per una frazione di secondo da questa moria s'è sprigionato un accordo di strana bellezza. Un ultimo giallo-oro si spegneva accanto ad una venatura ocra, un rosso brillante si copriva di velature sangue, un bianco lasciava la sua scia di cometa. Ma non fu che un attimo, il Nero copriva, divorava tutto come una gigantesca marea notturna e alla fine non restò che un deserto di vuoti e di grida spente.

Fu così che mi ritrovai a vagare nello spazio gelido e fluttuante finché feci completamente parte del suo regno d'assenze e indifferenza.

Non sento più né caldo né freddo, né ruvido né soffice, non ho più coscienza di quello che potrebbe essere il bello o il brutto, il bene o il male, non so più cos'è l'odio.

Esiste una sola sensazione nel regno del Nero, non facile a spiegare a parole, come una nostalgia, una nostalgia di qualcosa...

 

 

 

 

 


 

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